I Reduci

(Giorgio Gaber, "Liberta' Obbligatoria"  1976)

(Testo prelevato dal sito http://www.giorgiogaber.cjb.net/ )

 

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E allora è venuta la voglia di rompere tutto,
le nostre famiglie, gli armadi, le chiese, i notai,
i banchi di scuola, i parenti, le 128,
trasformare in coraggio la rabbia che è dentro di noi.

E tutto che saltava in aria e c’era un senso di vittoria
come se tenesse conto del coraggio la storia.

E allora è venuto il momento di organizzarsi,
di avere una linea e di unirsi intorno a un’idea,
dalle scuole, ai quartieri, alle fabbriche per confrontarsi
e decidere insieme la lotta in assemblea.

E tutto che sembrava pronto per fare la rivoluzione
ma era una tua immagine o soltanto una bella intenzione.

E allora è venuto il periodo dei lunghi discorsi,
ripartire da zero e occuparsi un momento di noi,
affrontare la crisi, parlare, parlare e sfogarsi
e guardarsi di dentro per sapere chi sei.

E c’era l’orgoglio di capire e poi la certezza di una svolta
come se capir la crisi voglia dire che la crisi è risolta.

E allora ti torna la voglia di fare un’azione
ma ti sfugge di mano e si invischia ogni gesto che fai,
la sola certezza che resta è la tua confusione,
il vantaggio di avere coscienza di quello che sei.

Ma il fatto di avere la coscienza che sei nella merda più totale
è l’unica sostanziale differenza da un borghese normale.

E allora ci siamo sentiti insicuri e stravolti
come reduci laceri e stanchi, come inutili eroi,
con le bende perdute per strada e le fasce sui volti,
già a vent’anni siam qui a raccontare ai nipoti che noi…

Noi buttavamo tutto in aria e c’era un senso di vittoria
come se tenesse conto del coraggio la storia.

Noi buttavamo tutto in aria e c’era un senso di vittoria
come se tenesse conto del coraggio la storia.

 

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